Fonte di Anna Perenna

Nell'attuale quartiere Parioli, all'angolo tra Piazza Euclide e via G.Dal Monte, nel 1997 è stata rinvenuta una fontana di enorme valore archeologico, purtroppo parzialmente distrutta dagli scavi effettuati in occasione della realizzazione di un parcheggio interrato.

La fontana è dedicata al culto di Anna Perenna, antichissima divinità etrusca e poi romana delle Origini, collegata alle ninfe ed all'acqua; è quindi collegabile ad una sorta di culto ctonio che prevedeva rituali magici e sortilegi, come descritto fedelmente dai Fasti di Ovidio (cit.):

Idibus est Annae festum geniale Perenne 
non procul a ripis, advena Thybri, tuis 
Plebs venit ac virides passim disiecta per herbas 
potat et accumbit cum pare quisque sua. 
Sub Iove pars durat, pauci tentoria ponunt, 
sunt quibus e ramis frondea facta casa est: 
Pars, ubi pro rigidis calamos statuere columnis, 
desuper extentas imposuere togas. 530 
Sole tamen vinoque calent annosque precantur 
quot sumant cyathos ad numerumque bibunt.


L'importanza del sito deriva dal fatto che mai prima era stata rinvenuta testimonianza archologica dell'esistenza del culto di Anna Perenna, che si pensa possa essere addirittura precedente all'epoca etrusca e collegabile ad una sorta di Dea Madre primieva.

Ovidio racconta che Anna era la sorella di Didone, che a sua volta era legata ad Enea; quando questi fuggì per mare, Didone si suicidò ed Anna partì all'inseguimento di Enea, che intanto era approdato nel Lazio ed aveva spsato Lavinia. Anna raggiunse Enea, ma suscitò le ire della moglie, che la fece uccidere e gettare in un corso d'acqua.

Secondo altre tradizioni, Anna Perenna viene descritta come una vecchia che amorevolmente donò delle focaccine alla plebe romana durante la serrata del 494 a.C.

La fontana consta di una vasca di forma rettangolare dedicata alle Ninfe consacrate alla dea Anna Perenna, la cui festività cadeva alle idi di marzo (data del primitivo capodanno romano) e che personificava il perpetuarsi degli anni.

La struttura, posizionata oggi tra i 6 e i 10 metri sotto il piano stradale, presenta delle epigrafi marmoree incastonate in un declivio murario, risalenti al II secolo d.C.; quella immediatamente a sinistra è stata dedicata akla dea probabilmente da un liberto, la lastra centrale e quella di derstra invece sono attribuite ad una coppia di coniugi (Svetonius Germanicus e Licinia). La vasca vera e propria, restrostante, di epoca precedente, misura 1x4 metri, è foderata in cocciopesto (malta impermeabile composta da frammenti di terracotta, calce e sabbia) e proprio al suo inteno sono stati rinvenuti manufatti straordinari utilizzati nelle pratiche magiche e religiose: si tratta di monete (assi), lucerne in coccio chiaro (particolare riportato da Ovidio) mai o quasi mai utilizzate, defixiones (maledizioni) incise su fogli di piombo arrotolati, un caccabus (pentolone di rame), figurine antropomorfe di materiale organico (cera e sostanze grasse di origine animale) contenute in astucci sigillati (un astuccio dentro l'altro, fino ad arrivare alla figurina interna). Quello che è emerso dalle indagini effettuate su queste figurine è che, oltre ad essere composte appunto da sostanze organiche e tutt'ora ancora malleabili, sono state modellate da mani femminili, come rivelato dalle impronte digitali presenti sul materiale di composizione. 

La fontana rimase in funzione fino al V secolo d.C. e si collocava all'interno del Nemus, ossia il bosco sacro, sede delle Ninfe.

 

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